mercoledì 9 dicembre 2015

Il male di Dachau

Oggi vi parlo di un'esperienza che ho affrontato quest'estate, molto profonda nonostante riguardasse cose che sento lontanissime, anzi non riesco nemmeno a concepire.
E' da un po' di tempo che penso di scrivere su questo argomento, ma mi risulta difficile farlo e mi scuso in anticipo perché questo post è stato scritto di getto e non mi sembra giusto modificarlo e revisionarlo. Mi dispiace anche per le foto particolarmente luminose e calde, ma il sole era accecante e volevo lasciar vogliere il contrasto tra quel cielo bellissimo e le mie emozioni nel campo.

Piazza dell'Appello

Quest'estate ho condiviso con Ale e i suoi un viaggio fino a Monaco di Baviera, città che non mi ha entusiasmata molto, ma forse è stato così solo a causa del poco tempo che vi abbiamo trascorso. 
Vicino a Monaco (mezz'oretta di viaggio) si trova uno dei più famosi campi di concentramento nazisti, nel paese di Dachau, così abbiamo deciso di visitarlo. L'idea di poter vedere quel posto mi rendeva impaziente, anche se sapevo che non sarebbe stato facile per me. Il mio carattere non mi permette di mostrare sempre quello che provo e questa è stata una di quelle esperienze che ho sentito proprio pesanti, anche se non penso che i miei compagni direbbero che sono stata male. Ogni cosa su cui poggiavo lo sguardo mi portava ad immaginare quanto male sia stato possibile nel mondo e quanto ce n'è sicuramente ancora da consumare; ogni voce o racconto mi facevano venire le lacrime agli occhi. Perché un conto è guardare un film e sapere che quella è tutta finzione, ma sapere che le foto che hai davanti sono reali e sentire la voce di un anziano, rotta dal ricordo dei familiari morti e delle torture subite, beh, è tutta un'altra questione. 
Sono entrata nel campo di Dachau emozionata, consapevole che sarebbe stata una grande occasione per non dimenticare l'orrore di cui può essere capace l'uomo nei confronti dei propri simili, anche se, nonostante avessi tutto davanti ai miei occhi, c'era una nuvola di nebbia che sembrava avvolgere ogni cosa e portarla in un luogo "sicuro", dove nessuno può andare per capire il vero significato di quei crimini. 


Lo spazio che si incontra subito dopo aver varcato il cancello d'ingresso è sconfinato e ha un qualche carattere monumentale; ci si immagina subito quante persone impaurite potessero entrare in un luogo così grande e la cosa impressiona davvero. Nel fabbricato principale è stata organizzata una mostra con la storia del campo e le varie testimonianze raccolte dopo la sua chiusura; sarete guidati dai molti pannelli esplicativi, da filmati e dall'audioguida, con ricordi narrati in prima persona da alcuni sopravvissuti.
La sezione che ho trovato più inquietante e surreale è stata quella che raccontava degli esperimenti medici che i nazisti eseguivano sugli internati. Una foto mi è rimasta particolarmente impressa e mi ha perseguitata per molto, quando chiudevo gli occhi per addormentarmi o sentivo al telegiornale la storia dell'ennesima imbarcazioni affondata nel nostro mare viaggiando alimentata dalla promessa di una vita migliore. Era ritratto un uomo malnutrito, rannicchiato mentre si contorceva dal dolore provocato dall'aria che gli era stata immessa nel cervello per ucciderlo; penso che potrò vedere quello sguardo per sempre, quegli occhi grandi, spalancati, neri, che imploravano pietà, ma non a chi li stava per chiudere, ma a qualcun'altro, nella rassegnazione dell'idea di non poter fare nulla e nella ricerca di una liberazione da quella condizione in qualche modo, anche se quel modo implicava la morte.

Io penso che solo una parte molto esigua di visitatori si soffermi ad osservare quelle foto, mentre i più si limitino a vederle, passeggiando. L'ho trovata una situazione ingiusta, perché tutti coloro che hanno trascorso anche un solo secondo in quel posto come prigionieri meritano di essere ricordati, ascoltati e pensati; meritano di condividere con noi quello che hanno passato e meritano che noi ci fermiamo davanti ai loro nomi scritti sulla pietra, al loro pettine consumato, alla loro divisa sporca e strappata, a quella lettera per una persona speciale che non l'avrebbe mai ricevuta.

Non riesco a staccarmi facilmente da quelle emozioni, ma ho lasciato trascorrere un po' di tempo e vorrei darvi qualche informazione pratica, per poi lasciare a voi provare le vostre emozioni.

Sala Shunt

CENNI SULLA STORIA DEL CAMPO

Il campo di Dachau apre nel 1933 per ospitare prigionieri politici ostili alla dittatura nazionalsocialista appena instaurata. 
Nel 1935 vennero emanate le Leggi di Norimberga e ciò portò al campo prigionieri di altra natura: testimoni di Geova, omosessuali, immigrati. 
L'anno dopo si fa strada il progetto di una rete di campi di concentramento in Germania, legati tra loro e con diverse finalità; l'esperienza di Dachau sarebbe servita come esempio e modello per le nuove costruzioni. 
Intanto il ventaglio dei deportati si ampliava, comprendendo rom, mendicanti, ebrei, prigionieri di guerra sovietici e dalla Polonia. 
Gli esperimenti medici sui prigionieri iniziarono nel 1942, mentre il lavoro forzato divenne una strategia di sterminio, così come la malnutrizione e le epidemie che dilagavano per le inesistenti condizioni igieniche e il sovraffollamento.
Alla fine del 1944 i detenuti annoverati nel campo di Dachau e in quelli limitrofi erano 63mila e circa 30mila furono ritrovati al momento della liberazione all'arrivo delle truppe americane (29 aprile 1945). 
I soldati americani entrarono nel campo è trovarono migliaia di uomini in condizioni al limite tra vita e morte, circondati da carri e vagoni carichi di cadaveri; tutto ciò li portò ad impazzire e fu così che, tra le lacrime, iniziarono a sparare sulle guardie delle SS. Impossibile da capire e condividere, ma legalmente era considerato un crimine di guerra!

Vestibolo per le docce a gas

IL CAMPO

Entrando nel campo si nota presto la suddivisione in diverse aree. A destra si trova l'edificio di manutenzione realizzato nel 1938, che racchiude la Piazza dell'Appello a sud, dove venivano radunati i prigionieri per ore, costretti a resistere fronteggiando la scritta dipinta sul tetto dell'edificio: "C'è un cammino verso la libertà. Le sue tappe sono: l'obbedienza, l'onestà, la pulizia, la sobrietà, la diligenza, l’ordine, lo spirito di sacrificio, la veridicità, l'amore per la patria".
All'interno dell'edificio di manutenzione si sviluppa la mostra, evidenziando le tappe dell'arrivo dei detenuti, attraverso la Sala Shunt, dove venivano spogliati di ogni avere e della loro identità, e i bagni dei prigionieri, dove questi venivano lavati e vestiti con gli abiti del campo. Dalla fine del 1940 questa sala venne utilizzata anche per torture.


Attraversata la Piazza dell'Appello, si trovavano le 34 caserme, disposte parallelamente a fianco dell'asse principale che organizzava spazialmente il campo. Le prime due caserme sono state ricostruite, mentre delle altre rimangono delle pietre disposte a segnalare l'impronta delle fondazioni originarie.
La guida vi spiegherà dettagliatamente che ogni caserma era destinata a funzioni precise e tipologie di prigionieri definite secondo l'ideologia razzista; la caserma più temuta era la numero 3, sede del Dottor Rascher, che eseguiva gli esperimenti medici.

Dietro alle "baracche" erano situate le sale per la disinfezione degli abiti, gabbie per conigli e l'asilo. Oggi al loro posto si trovano diversi edifici, dedicati alle religioni dei prigionieri coinvolti nel massacro di Dachau: la Cappella dell'Agonia Mortale di Cristo, realizzata dai polacchi sopravvissuti, il convento dei carmelitani, la Chiesa Protestante della Riconciliazione, il memoriale ebraico e la cappella russo-ortodossa.

Superati gli edifici religiosi, sulla sinistra, si entra in una zona separata, circondata da fitte e alte alberature: lì si trovano ancora oggi i forni crematori e le docce a gas, forse mai utilizzate nel campo di Dachau. L'edificio principale del complesso è la Caserma X, dove furono scattate dalle truppe americane le foto che fecero il giro del mondo e vennero organizzate le prime mostre sugli orrori delle SS già dal 1945.

Vista dall'interno delle caserme
Indicazione delle caserme distrutte

INFORMAZIONI PRATICHE

Il memoriale è aperto tutti i giorni, dalle 9:00 alle 17:00 e rimane chiuso il 24 dicembre. Arrivare in auto è molto semplice ed è disponibile a pochi passi dal campo un ampio parcheggio al prezzo di 3,00 euro per l'intera giornata. Se invece volete utilizzare il trasporto pubblico, conviene viaggiare in treno da Monaco a Dachau, per poi proseguire in autobus fino all'entrata del campo.

Vi consiglio di visitare il sito http://www.kz-gedenkstaette-dachau.de/, dove troverete ogni informazione utile.
 

2 commenti:

  1. Non ho mai visitato un campo di concentramento, nonostante da tempo abbia un forte impulso a farlo. La tua spiegazione e le tue foto mi fanno ripensare a quanto dolore si celi dietro a quegli spazi ora così vuoti e desolati. Fa strano veder risplendere il sole su un luogo che di luce vera ne ha vista ben poca. Sono sensazioni amare che ti rimangono dentro per sempre, credo. Grazie per averle condivise..

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Avevo pensato di modificare le foto e magari farle in bianco e nero o comunque più cupe e con meno colori.. Ma poi ho preferito lasciare che chi le vedesse capisse il contrasto e anche che quel posto é reale.. A me sembra sempre di vedere qualcosa di surreale quando guardo le immagini in bianco e nero! Grazie del commento :)

      Elimina